Borrell: “A Gaza la più grande pulizia etnica dalla II Guerra mondiale, la Ue non resti a guardare”

Dal quotidiano La Repubblica riprendiamo e pubblichiamo un appello dell’Ex commissario dell’Unione Europea per gli affari esteri Josp Borrel.E’ una denuncia dell’ipocrisia dei potenti ed un monito.Il silenzio dell’Ovest sui crimini di Israele “Puo’ renderci complici di crimini contro l’umanita’”.

L’ex commissario dell’Unione Europea Josep Borrell mentre denuncia la tragica situazione di Gaza

di Josep Borrell

 

Il 18 marzo scorso, Benjamin Netanyahu ha rotto la tregua che era stata instaurata a Gaza pochi giorni prima dell'insediamento di Donald Trump.

 In poche ore, i bombardamenti hanno causato più di 400 morti.

In questo modo ha assicurato la sua sopravvivenza politica: continuare la guerra era la condizione posta dal suo partner di estrema destra Bezalel Smotrich per non rovesciare la coalizione di governo.

  Da allora, migliaia di altri civili palestinesi, in gran parte donne e bambini, sono stati uccisi e la vita degli ostaggi sopravvissuti è in pericolo. Il blocco totale e la fame diffusa hanno aggravato in modo catastrofico una situazione già drammatica, in un contesto in cui la maggior parte degli edifici e delle infrastrutture sono distrutti. L'ultimo impianto di desalinizzazione dell'acqua non funziona più.

Tutti concordano su questa terribile diagnosi.

Le Nazioni Unite hanno avvertito che la situazione a Gaza ha raggiunto il livello peggiore dall'inizio della guerra.

L'Ong Medici Senza Frontiere ha descritto Gaza come un cimitero per migliaia di abitanti della Striscia, ma «anche per coloro che cercano di aiutarli».

Dodici delle più grandi Ongdi aiuto internazionale hanno appena lanciato un appello disperato. Nessuno sembra ascoltarle.

Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha ribadito ancora una volta nei giorni scorsi che «nessun aiuto umanitario entrerà a Gaza».

Bezalel Smotrich, facendogli eco, ha confermato che si sta esercitando la massima pressione per «evacuare la popolazione verso sud e attuare il piano di migrazione volontaria del presidente Trump per gli abitanti di Gaza».

Un progetto che Israel Katz, quando era ministro degli Esteri, ci aveva già presentato al Consiglio dell'UE all'inizio del 2024. L'esercito israeliano ha conquistato metà del territorio e ha posto due terzi di Gaza sotto ordine di evacuazione, trasformandoli in «zone proibite», compresa la città di confine di Rafah.

L'obiettivo è chiaramente quello di creare le condizioni per portare a termine la più grande operazione di pulizia etnica dalla fine della seconda guerra mondiale.

Affermare che «nemmeno un chicco di grano entrerà a Gaza» costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale umanitario.

 È impossibile non vedere in questo l'intenzione di sterminio che la Corte penale internazionale aveva già preso in considerazione quando ha emesso mandati di arresto contro Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa.

Non è meno grave di quella constatata in passato dalla giustizia internazionale a Srebrenica e in Ruanda.

Allo stesso tempo, in Cisgiordania, l'esercito sta conducendo la più grande offensiva degli ultimi decenni.

Più di 40.000 palestinesi sono già stati sfollati con la forza dal nord del territorio, preparando evidentemente i piani che i legislatori di estrema destra stanno promuovendo per espandere le colonie illegali secondo il diritto internazionale.

Il 23 marzo, il governo ha tuttavia legittimato 13 di queste colonie. L'estrema destra fondamentalista spera che Trump sostenga i suoi piani di annessione di parte o di tutta la Cisgiordania, il che porrebbe fine a qualsiasi possibilità, se mai ve ne fosse ancora una, di creare uno Stato palestinese.

In quasi tutta Europa siamo attualmente in vacanza e la nostra attenzione è rivolta soprattutto ai dazi doganali con cui Trump ci minaccia. Non si parlava quasi più di Gaza. Ma la foto di un bambino di Gaza con entrambe le braccia amputate, che ha vinto un premio internazionale, e la morte della fotografa Fatima Hassouna, protagonista di un film selezionato per il prossimo Festival di Cannes, hanno riacceso l'emozione.

Sì, è per questo che non ci lasciano vedere le immagini di Gaza. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

Ma, diamine, non è uno, né cento, né mille, sono migliaia i bambini morti o mutilati a Gaza. E in quali condizioni.

Gaza è prima di tutto una guerra contro i bambini.

La foto di uno di loro ci fa versare lacrime, ma la portata globale della tragedia non sembra commuoverci.

Mentre a Washington e a Budapest, paesi che fino ad ora erano parte integrante della Corte penale internazionale, Benjamin Netanyahu viene accolto con tutti gli onori.

Nonostante le numerose risoluzioni adottate dalle Nazioni Unite e le decisioni della Corte penale internazionale, in qualità di Alto rappresentante dell'Unione non sono riuscito a ottenere che il Consiglio e la Commissione agissero di fronte alle violazioni massicce e ripetute del diritto internazionale e del diritto umanitario da parte del governo di Benjamin Netanyahu, come abbiamo fatto di fronte all'aggressione di Vladimir Putin contro l'Ucraina.

E fino alla fine del mio mandato, ho dovuto constatare quanto questo doppio standard abbia indebolito la posizione dell'Ue nel mondo. Non solo nel mondo musulmano, ma anche in Africa, in America Latina o in Asia.

La Spagna e alcuni altri paesi europei hanno alzato la voce e chiesto alla Commissione di verificare se il comportamento di Israele sia conforme agli obblighi derivanti dall'accordo di associazione con l'Europa. In risposta, hanno ottenuto solo silenzio.

Il senso di colpa di alcuni paesi europei nei confronti dell'Olocausto, trasformato in “ragion di Stato” che giustifica un sostegno incondizionato a Israele, rischia di renderci complici di crimini contro l'umanità. Un orrore non può giustificarne un altro. E, a meno di accettare che i valori che pretendiamo di difendere perdano ogni credibilità, l'Ue non può continuare ad assistere passivamente all'orrore di Gaza e alla “gazaizzazione” della Cisgiordania.

Contrariamente a quanto spesso si dice, e nonostante la totale mancanza di empatia di alcuni dei suoi leader, l'Ue dispone di numerosi strumenti di azione nei confronti del governo israeliano: siamo il suo primo partner in termini di commercio, investimenti e scambi di persone. Forniamo almeno un terzo delle armi importate da Israele e abbiamo concluso con questo paese l'accordo di associazione più ampio in assoluto. Tuttavia, come gli altri, anche questo accordo è subordinato al rispetto del diritto internazionale, in particolare del diritto umanitario.

Se lo vogliamo, possiamo agire. E abbiamo già aspettato troppo. Molti israeliani, consapevoli che la fuga in avanti di Benjamin Netanyahu minaccia a lungo termine la sicurezza e la sopravvivenza di Israele, ce ne sarebbero grati.

 

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