Il ditale del sarto, la vita prima dell’Ipad

Foto cortesia Nino Cioppa

di Nicola Sparano

 

Due forbici, una di quelle extra lunghe, un metro a nastro, degli aghi, filo, un ditale, un paio di occhiali da sole, un cappello tipo Borsalino.

Tutto questo era ai piedi della bara in cui giaceva un mio vicino di casa, Secondo Pezzobon, che dalla provincia di Treviso aveva portato a Spadina il suo mestiere di sarto.

Era alto Secondo, alto piu’ della media, sempre elegante anche quando zappava all’orto, aveva dita lunghe ed affusolate adatte per l’ago ed il ditale.

Mentre gli rendevo omaggio, ripensavo appunto al ditale.

Per chi non lo sapesse, o se ne fosse dimenticato, il ditale è un piccolo cappuccio protettivo, di solito in metallo o plastica, che si infila sul dito (tipicamente il medio) per spingere l'ago durante il cucito, proteggendo il dito dalla pressione e dalla puntura.  

Con gli occhi delle mente e del cuore ho rivisto la signora maestra, mia madre, mentre rammendava qualcosa quando ci si doveva arrangiare su tutto, rattoppando pantaloni e maglioni destinati a passare da fratello a fratello.

Da quel ditale e’ scattato il flash back e la catena di ricordi.

Alla veglia funebre di mio cognato Raffaele LaFace, c’era una pianta di limone da lui cresciuta in un grande contenitore, due cartucce della doppietta, una scatola di esche ed il coltellino dal quale non si separava mai.

Francesco Mongillo era un contadino di una frazione, Puglianello, del mio paese Telese.

Aveva zappato, arato, potato e mietuto per tutta la vita.

Alla sua morte celebrarono la sua vita con gli oggetti piu’ importanti e significativi della sua esistenza: un aratro vero di ferro, una zappa, una vanga, due falci, una grande per la mietitura, una per potare. C’era anche un covone di grano, una pipa di creta, la scoppola vecchia che portava ogni giorno in campagna e la scopola elegante della domenica.

Gli antichi, sin dai tempi dei tempi, tumulavano i defunti con gli oggetti potessero servire loro nell’aldila’.

Oggi lo si fa per dare il giusto risalto alla vita dedicata al lavoro del defunto e per far capire ai giovani - figli, nipoti o pronipoti - che al mondo c’e’ ancora chi si e’ guadagnato il pane usando attrezzi che non fossero iPhone, IPads, tablet e diavolerie assortite.

Con il co/autore di questo blog, Odordo Di Santo, abbiamo deciso di lasciare nelle nostre ultime volonta’ l’obbligo di trovare due reperti archeologici o quasi, una macchina da scrivere – possibilmente Olivetti Lettera 32 - che si usava prima dei computer e una penna stilografica ad inchiostro nero. Questo per quanto il lavoro, per il tempo libero un libro giallo per me, uno storico per lui.

E per finire anche due mazzi di carte, uno per il tressette, l’altro per la scala quaranta.

Chissa’ se lassu’ o laggiu’ che sia, non troviamo altre anime che amano “tirare la recchia” perche’ l’eternita’ e’ lunga da passare, specialmente senza un hobby.

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